Era da tempo che non scrivevo più.
A volte dimentico che questo è uno spazio tutto mio,
dove non importa se nessuno commenta o legge.
Questa è la mia terra, il mio regno.
Ne faccio quello che voglio.
Anche niente, se è così che sento.
Come quando hai un dono e scordi di averlo.
Preferisci trascurare di possederlo e così, semplicemente lo lasci nell’oblio, per mettere da parte definitivamente quella peculiarità.
Non importa quale essa sia.
Ma l’importante è che, prima o poi, si torni ad averla.
Quando ero solo una ragazzina la mia vita era la musica.
A cinque anni chiesi a mia madre lezioni di chitarra e quella poveretta, che proprio non poteva permetterselo, mi disse semplicemente che non avrebbe avuto i soldi per lo strumento.

Allora chiesi la chitarra a mio padre, ma lui, un uomo per il quale non poteva esserci spazio nella vita per le passioni artistiche, per non dare peso alla mia scelta e anzi ridicolizzarla, mi regalò una chitarra della Bontempi.
Ancora me lo ricordo quel pezzo di plastica.
Emetteva un suono terrificante.
E io, che avevo sempre avuto la musica nelle corde della mia anima,
non sapevo cosa farmene di quell’orrore.
Quindi piansi.
Perché diciamocelo, è così’ che si affrontano i problemi a quell’età.
E piansi così forte e così a lungo, che la mia vicina si mosse a commozione.
“Piccola… questa è la chitarra di Chicco, gliel’hanno regalata per la prima comunione, ma lui non la usa.. se la vuoi, adesso è tua.”
La cosa più bella nella vita è quando un pianto di disperazione si trasforma magicamente in un pianto di felicità.
Avevo finalmente la mia prima chitarra!
Una Eko, un pezzaccio di legno!
Ma in confronto al pezzaccio di plastica, quel suono sembrava meraviglioso!
Dai 6 agli 11 anni, misi i soldi da parte.
Invece di chiedere bambole o giocattoli, mi facevo regalare contanti per poter comprare la chitarra classica dei miei sogni.
Nel 1987 finalmente comprai la mia Alhambra: 1.270.000 lire!!!

Cedro rosso, fondo in mogano.
Fatta ad Alicante.
Dentro di sé tutto il calore, l’energia e la passione della Spagna.
Dolcissima.
Tastiera in palissandro.
Penetrante e morbida solo a guardarla.
Più la stringi e più senti che il legno si accende, si fonde con te e si abbandona al tuo abbraccio, regalandoti note inaspettate.
Profonde.
Ma la vita ti stupisce sempre quando meno te l’aspetti e proprio quando mi ero decisa finalmente ad iscrivermi al conservatorio, venni operata.
Dito a scatto.
Una cosa molto insolita a 15 anni visto che è una patologia senile.
Dopo l’intervento, ovviamente, non suonai più come prima e abbandonai del tutto l’idea del conservatorio, che mai confessai.
Ma la musica è un’energia che cresce dentro.
Prima o poi esplode.
Così iniziai ad usare la mia voce.
Ed era stupendo! Potevo farne quello che volevo.
Abbassarla, alzarla, modularla.
Era parte di me.
Coro, gruppo, concerti, operette.
Mi sono buttata in tutto ciò che la mia voce potesse sfruttare.
Finché una grande delusione d’amore mi rubò ogni cosa.
Prima fra tutte, la mia capacità di abbandonarmi alla musica.
Perché quando la ami, ti rende inerte.
E una volta che ne sei in balia, chiunque può fare di te quello che vuole.
Non doveva più accadere.
Ma nel tentativo di proteggermi, mi castrai l’anima.
Per questo piano piano, senza rendermene conto, iniziai a mettere la musica in qualunque altra cosa io facessi.
Avevo bisogno di tornare ad essere me stessa.
In un modo o nell’altro.
Un unico pezzo.
Cassa di risonanza.
Così come ero prima.
Così come sono ora.

Molto ma molto bello il tuo racconto…. Sei e sarai sempre il ” coraggio” proprio…
Più che coraggio… lo chiamerei “L’incoscienza della passione”.